Come rimediare alla mancanza di un obbligo di rinegoziazione ?

Lo scoppio dell’epidemia Covid-19 e le conseguenze negative che ne sono seguite – sia per via della crisi economica provocata dal virus sia per i provvedimenti governativi di lockdown a contrasto della diffusione – hanno fatto emergere una grave lacuna del diritto italiano nell’offrire strumenti che consentano di “manutenere” i contratti di durata colpiti da un evento dirompente adattandoli alle mutate, eccezionali e impreviste condizioni del mercato.

Il riferimento è, in particolare, alla mancanza di un obbligo normativo di rinegoziazione delle pattuizioni di un contratto divenuto, per via degli eventi eccezionali, economicamente squilibrato.

Vediamo quale è lo stato della normativa vigente, gli orientamenti suggeriti dalla giurisprudenza per superare tale lacuna e quali sono gli accorgimenti che le parti possono adottare direttamente nel contratto per ovviarvi.

La forza maggiore come esonero dalla responsabilità per il mancato adempimento

La causa di forza maggiore, intesa come motivo di esonero da responsabilità per il mancato adempimento delle obbligazioni contrattuali, è prevista e disciplinata, sia pure con differenze di rilievo, in molti ordinamenti nazionali.

In Italia, essa è prevista in via generale dall’art. 1218 del Codice civile, che, nel disciplinare la  «responsabilità del debitore» – inteso come colui che deve eseguire la prestazione – stabilisce che il contraente che si è impegnato a fornire all’altra una prestazione è tenuto a riconoscere a quest’ultimo il danno eventualmente patito se non adempie o adempie in ritardo a meno che dimostri che il suo inadempimento o il ritardo sono dipesi dalla impossibilità di fornire la prestazione dovuta a una “causa a lui non imputabile”.

Tale norma ha quindi la funzione – ricorrendone i presupposti – di salvaguardare la parte che la invochi dal pregiudizio di dover risarcire alla controparte che subisce il suo inadempimento o ritardo i danni allo stesso causati allorquando questo inadempimento (o ritardo) sono dipesi da una circostanza che gli ha reso impossibile il rispetto delle pattuizioni contrattuali e sul quale non poteva avere alcun controllo.

Quando invece la prestazione, per eventi imprevedibili e imprevisti, diventi per la parte onerata non impossibile – in tutto o in parte – ma semplicemente più onerosa di quanto si potesse ragionevolmente prevedere al momento della conclusione del contratto, soccorre un’altra norma del Codice civile.

La eccessiva onerosità sopravvenuta che può far venire meno il contratto

Questa eventualità è regolata dall’art. 1467 c.c., che concede al contraente – che diventi eccessivamente onerato a causa di un avvenimento straordinario e imprevedibile successivo alla conclusione del contratto – di potersi “liberare” dal contratto stesso chiedendone la risoluzione al giudice.

In entrambi i casi, si tratta di strumenti che non intervengono a “ridefinire”, nel senso di un nuovo equilibrio, l’entità delle prestazioni reciproche dei due contraenti con la finalità di far sopravvivere, con un nuovo assetto più corrispondete alle mutate circostanze, il contratto; sono rimedi che mirano, al massimo, a far cessare il contratto.

Ma molto spesso l’interesse delle parti, o anche solo della parte più onerata, non è quello di chiudere il contratto – e il rapporto economico che ne è regolato – bensì quello di proseguirlo sia pure a condizioni più eque, data la nuova situazione di fatto.

Esempi oltre confine: la “renégociation du contrat” prevista nel Code Civil francese

A questo proposito è utile analizzare – per trarne alcuni suggerimenti “operativi” – le soluzioni che sono state già introdotte in alcuni ordinamenti, in particolare in Francia.

Nel 2016, nell’ambito di una riforma al Code Civil francese, è stata introdotta una norma – l’article 1195 – che prevede l’obbligo per i contraenti, al ricorrere di determinate circostanze, di rinegoziare il contratto

La norma, decisamente innovativa, si trova inserita nella sezione dedicata alla disciplina degli effetti del contratto e prevede che se un cambiamento di circostanze imprevedibile alla conclusione del contratto rende l’esecuzione del contratto eccessivamente onerosa per uno dei contraenti – che non si era assunto il relativo rischio – questa parte “eccessivamente onerata” a causa delle sopravvenute e imprevedibili circostanze può chiedere all’altro contraente una rinegoziazione del contratto.

Se la controparte oppone un rifiuto o la rinegoziazione fallisce, le parti hanno due strade da percorrere.

La prima è quella di chiedere di comune accordo al giudice di “riadattare” i patti negoziali: in sostanza possono giungere a un accordo di deferire a un terzo imparziale il “riequilibrio” delle prestazioni contrattuali.

La seconda consiste nel determinare loro direttamente condizioni e tempi di risoluzione del contratto; in questo caso, in mancanza di accordo entro un termine ragionevole, spetterà al il giudice, su richiesta anche di una sola parte, di rivedere il contratto o di risolverlo, alla data e alle condizioni da lui fissate.

E ancora: la “oportunidad razonable de renegociar de buena fé” del diritto argentino

Una norma simile è stata introdotta nel 2015 anche nel Código Civil y Comercial argentino, ed esattamente all’articolo 1011, nel quale, proprio relativamente ai contratti di durata, è previsto l’obbligo, a carico della parte che intenda risolvere il contratto, di offrire preliminarmente alla controparte la opportunità ragionevole di rinegoziare in buona fede i patti.

E in Italia quale è lo “stato dell’arte”?

Nel nostro ordinamento non esiste una norma positiva che imponga un obbligo di rinegoziazione.

La Corte di Cassazione, nella Relazione dell’Ufficio del Massimario dell’8 luglio 2020 n. 56, ha tuttavia affermato come nei contratti di durata e relazione esiste pur sempre – anche in assenza di una norma ad hoc o di una clausola di rinegoziazione inserita nel contratto – una regola generale che impone alle parti di comportarsi – ovvero eseguire il contratto – secondo correttezza e buona fede e che deriva dagli artt. 1175 e 1375 Codice civile.

Tale precetto – secondo la Cassazione – deve tradursi, nell’attuale situazione economica e di incertezza causata dalla pandemia, nel dovere di rendersi almeno disponibili a rinegoziare un contratto nel quale le obbligazioni delle parti sono diventate sperequate quanto a valore e utilità se rapportate alla concreta utilità che dagli stessi traggono queste ultime.

Contratti di locazione commerciale o affitto di azienda: effetti del lockdown

Nel caso, ad esempio, dei contratti di locazione commerciale o di affitto di azienda, i lockdown totali o parziali hanno comportato senza dubbio per i conduttori e gli affittuari una ridotta disponibilità/utilizzabilità dei locali o della azienda a fronte di canoni rimasti inalterati.

La rinegoziazione suggerita dalla Cassazione avrebbe dunque lo scopo di consentire alle parti, sempre agendo secondo buona fede, di ricondurre le controprestazioni a un “equilibrio” tenuto conto della effettiva – e ridotta – utilità che ciascuna trae dalle stesse.

Un caso concreto: l’ordinanza del Tribunale di Roma del 27.8.2020

La giurisprudenza di merito ha già dato una concreta applicazione a questo orientamento espresso dalla Corte di Cassazione: il Tribunale di Roma, con un’ordinanza del 27.8.2020 – pronunciata proprio in una controversia tra concedente e affittuario nell’esecuzione di un contratto di affitto durante l’emergenza Covid-19 – ha espressamente dichiarato la sussistenza, in capo al concedente l’azienda, di un obbligo di rinegoziazione del canone (leggi anche nello stesso magazine l’articolo linkato qui).

Il giudice romano si è perfino spinto oltre, arrivando a quantificare esso stesso – su istanza dell’affittuario – la riduzione del canone avuto riguardo ai giorni di effettiva totale indisponibilità dell’esercizio commerciale in ragione della chiusura forzata disposta dal Governo italiano e valutando proporzionalmente l’utilità residua del negozio, sia pure chiuso, come luogo adibito al riparo della attrezzatura e dei restanti beni aziendali.

La clausola contrattuale di “hardship” e di rinegoziazione

Ad ogni modo, in mancanza di previsioni di legge che prevedano un obbligo di rinegoziazione come quelle citate sopra, le parti potrebbero sempre esse stesse inserire nei contratti – specie in quelli economicamente più onerosi – delle clausole apposite, integrative della legge che disciplina il contratto, le quali regolino ex ante, al verificarsi di circostanze eccezionali e imprevedibili che alterano l’equilibrio “economico” del contratto, l’impegno delle parti a rinegoziare nuove condizioni contrattuali che tengano ragionevolmente conto delle conseguenze di tali eventi, oltre che il “destino” del contratto nel caso in cui la rinegoziazione non abbia esito positivo.

Queste clausole possono essere più o meno dettagliate.

Le clausole standard elaborate dalla International Chamber Of Commerce (ICC)

La International Chamber Of Commerce (ICC) – che è la più grande associazione che rappresenta le aziende di tutto il mondo e ha per obiettivo di promuovere gli investimenti, l’apertura dei mercati di beni e servizi e la libera circolazione dei capitali – ha predisposto in questo senso delle clausole standard che costituiscono un valido modello al quale ispirarsi per predisporre delle clausole ad hoc.

Le clausole standard si differenziano, sostanzialmente, sotto due diversi aspetti.

Definizione e specificazione degli eventi eccezionali

Il primo riguarda la identificazione o meno, più specifica rispetto alla generica dicitura di “evento eccezionale e imprevedibile”, delle circostanze o avvenimenti ricorrendo i quali le parti possono invocare la clausola.

Le parti possono infatti prevedere ed inserire nella clausola alcuni avvenimenti o circostanze specifici – ad esempio un lockdown da epidemia o pandemia che si protragga per più di un dato tempo o per più di tot giorni totali in un certo arco di tempo – stabilendone ex ante la natura di “evento fuori dal loro controllo” che non poteva essere ragionevolmente previsto al momento della conclusione del contratto, né si potrebbe evitare o superare.

Mancato accordo sulla rinegoziazione: adattamento da parte del giudice o risoluzione?

Il secondo aspetto riguarda la possibilità o meno di prevedere l’attribuzione a un terzo, giudice o arbitro, il potere – in via sussidiaria – di adattare il contratto ove le parti non riescano a raggiungere una soluzione negoziata.

La clausola può prevedere, in caso di mancato accordo, il diritto, per la sola parte che abbia invocata, di risolvere il contratto, ma non anche quello di richiederne l’adattamento al giudice o all’arbitro senza il consenso dell’altra parte.

Oppure la clausola può prevedere che in caso di mancato accordo, ciascuna parte possa richiedere al giudice o all’arbitro di adattare il contratto in modo da ristabilirne l’equilibrio o di dichiararne la risoluzione, ove opportuno.

Infine, la clausola può prevedere, se le parti non siano state in grado di rinegoziare con successo, il diritto di entrambe di richiedere al giudice o arbitro di dichiarare la risoluzione del contratto.

CONCLUSIONI

Si può dunque concludere che, in assenza di una norma positiva sul punto, e nell’incertezza della risposta che potrebbe venire da una pronuncia giudiziale, le parti, facendosi parte diligente, dovrebbero saggiamente prevedere esse stesse, con l’inserimento di una clausola apposita, a regolare la vita e la “manutenzione” del contratto per i casi straordinari che possono metterne a rischio l’equilibrio e gli interessi, economicamente spesso rilevanti, che gli stesi contratti sono tesi a regolare.

Insomma, anche per queste evenienze, prevenire è meglio che “curare”.

 

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