La giurisprudenza di merito interviene, in via d’urgenza, per ridurre i canoni di locazione a un ristoratore rimasto chiuso a causa del lockdown.

IL CASO

Con una ordinanza pronunciata il 24 giugno 2021 il Tribunale di Lecce ha accolto un ricorso in via d’urgenza depositato da un esercente attività di ricezione e ristorazione che chiedeva al giudice di ridurre il canone di locazione del semestre marzo 2021-agosto 2021, per un contratto, e del semestre maggio 2021-ottobre 2021 per un secondo contratto, nella misura del 50%.

I contratti riguardavano due immobili nei quali un imprenditore esercitava la propria attività alberghiera e di ristorazione che era rimasta chiusa nel rispetto dei provvedimenti di lockdown decisi dallo Stato a contrasto alla diffusione della pandemia Covis-19.

L’esercente chiedeva che il Tribunale leccese si pronunciasse comunque, in subordine, per la sospensione del pagamento nella stessa misura del 50% del canone.

Infine il richiedente chiedeva al giudice di assumere ogni altro provvedimento d’urgenza, che, secondo le circostanze, apparisse il più idoneo a eliminare il pregiudizio già subito – e che continuava a subire – per effetto della chiusura o della diminuita possibilità di sfruttare gli immobili locati per i molteplici provvedimenti di lockdown, totale o parziale, adottati dall’autorità pubblica.

La tesi dell’albergatore-ristoratore

L’esercente deduceva di aver subito, per effetto della crisi epidemiologica, rilevanti e gravose perdite dei ricavi dovute alla circostanza che dell’annullamento o del rinvio  di numerose cerimonie (matrimoni, battesimi, ecc.).

La conseguente cancellazione – o forzato rinvio – delle relative prenotazioni dei servizi sia dell’albergo che del ristorante avevano fatto venire meno gli incassi sperati e comportato la restituzione degli acconti già ricevuti.

L’albergatore-ristoratore esponeva nel suo ricorso di aver richiesto al proprietario dei locali, proprio per queste ragioni, di riequilibrare i contratti  di locazione attraverso una riduzione del canone.

La posizione della proprietà degli immobili commerciali

La locatrice tuttavia, dopo avere accordato una riduzione – sia pure in misura non congrua – in occasione della prima ondata della pandemia nel 2020 – si era invece rifiutata di concederla per i periodi successivi, pretendendo dall’esercente il pagamento dei canoni nella loro interezza anche per i mesi nei quali l’attività di ricezione-ristorazione era rimasta nuovamente chiusa.

La locatrice aveva inoltre rifiutato il bonario componimento della vicenda in sede di mediazione costringendo l’esercente a rivolgersi al Tribunale.

La difesa del proprietario dell’immobile commerciale

La proprietà sosteneva, in giudizio, che non vi fossero i presupposti di fatto e di diritto per proporre una domanda in via d’urgenza – ovvero il pericolo nel ritardo e la verosimile fondatezza del diritto dell’esercente a ottenere una riduzione del canone contrattualmente pattuito – e quindi chiedeva che le domande del conduttore venissero rigettate.

L’ITER ARGOMENTATIVO DEL TRIBUNALE DI LECCE 

 Il giudice leccese, dopo avere puntualizzato che i requisiti della tutela concessa d’urgenza in via cautelare risiedono nella probabile esistenza del diritto – il cd.  fumus  boni iuris – e nel pericolo del danno – che potrebbe verificarsi per il ritardo del provvedimento definitivo a causa della lentezza del procedimento ordinario – ha ritenuto invece fondata la domanda dell’esercente.

La “verosimiglianza” del diritto che si chiede di tutelare

Il Tribunale di Lecce rammenta in primo luogo che ricorre alla procedura d’urgenza deve fornire un’immediata verosimiglianza di fondatezza del diritto di cui chiede la tutela.

Al giudice spetta quindi di valutare la sola probabilità dell’esistenza dell’invocato diritto emanando, in caso lo ritenga “verosimile”, un provvedimento di tutela limitato nel tempo, destinato a venire meno – o a essere confermato nel contenuto – dal provvedimento definitivo pronunciato in un momento successivo e all’esito dell’accertamento pieno dei fatti posti alla sua attenzione e valutazione.

Presupposto del diritto del conduttore: la violazione del principio di buona fede

L’albergatore – ristoratore aveva posto, a sostegno della sua domanda, la violazione dei canoni di buona fede in senso oggettivo e della solidarietà da parte della proprietà nell’eseguire il contratto.

In particolare la locatrice non avrebbe ottemperato all’obbligo, derivante dalla clausola generale di buona fede e correttezza, di “ricontrattare” le condizioni economiche dei contratti a seguito delle mutate circostanze legate all’insorgere della pandemia per Covid-19.

La crisi economica da pandemia: circostanza che altera l’equilibrio delle pattuizioni economiche

Nel caso delle locazioni commerciali il contratto, ha precisato il giudice leccese, viene sempre stipulato sul presupposto di un possibile e concreto impiego dell’immobile oggetto di locazione per l’effettivo svolgimento di attività produttiva, e segnatamente, nel caso di specie, per lo svolgimento dell’attività di ristorazione e ricezione.

La clausola “rebus sic stantibus” nei contratti corrispettivi

Pur in mancanza di clausole di rinegoziazione, i contratti a lungo termine devono continuare ad essere rispettati ed applicati dai contraenti nei termini pattuiti “sino a quando rimangono intatti le condizioni ed i presupposti di cui essi hanno tenuto conto al momento della stipula del negozio(cd. rebus sic stantibus).

Se però intervengono circostanze che, di fatto, rompono o alterano i presupposti in base ai quali le parti hanno determinato, ad esempio, il valore del canone – in ragione della “redditività” dell’uso degli stessi – la parte che riceve uno svantaggio dal protrarsi della esecuzione del contratto in base alle condizioni pattuite inizialmente deve poter rinegoziarne il contenuto in base al dovere generale dì buona fede oggettiva (o correttezza) nella fase esecutiva del contratto (art. 1375 c.c.).

La buona fede come criterio integrativo del contenuto di un contratto

Il giudice leccese ha precisato di condividere un diffuso orientamento della dottrina giuridica secondo il quale la buona fede può essere utilizzata anche con funzione integrativacogente” del contenuto delle prestazioni delle parti in tutti i casi in cui sopravvengano fattori imprevedibili non presi in considerazione dai contraenti al momento della stipulazione del rapporto e che portano a uno squilibrio degli interessi che va oltre l’alea di rischio normale e fisiologica di ogni contratto.

Applicazione della buona fede nei contratti di durata

Se queste circostanze imprevedibili riguardano contratti relazionali che implicano un rapporto continuativo tra le parti, la risoluzione per eccessiva sopravvenuta onerosità – pur sempre praticabile come rimedio – non può dirsi una soluzione “soddisfacente”.

La fine del contratto comporterebbe infatti, inevitabilmente, la perdita dell’avviamento per l’impresa colpita dall’eccessiva onerosità e la conseguente cessazione dell’attività economica.

In siffatte ipotesi, in base alla clausola generale di buona fede e correttezza, sorge pertanto un obbligo delle parti di contrattare al fine di addivenire ad un nuovo accordo volto a riportare in equilibrio il contratto entro i limiti dell’alea normale del contratto.

La non sufficienza degli interventi statali di sgravio fiscale 

Il Tribunale di Lecce non ignora la circostanza che lo Stato ha introdotto, sotto forma di credito di imposta sui canoni, delle agevolazioni in favore degli esercenti attività di impresa penalizzati dai provvedimenti di lockdown.

Tuttavia, tale intervento non può dirsi – secondo il giudice leccese – del tutto sufficiente a indennizzare il “sacrificio” richiesto dalle chiusure obbligatorie.

Di conseguenza, deve ritenersi doveroso, in tale ipotesi, fare ricorso alla clausola generale di buona fede e di solidarietà sancito dall’ art. 2 della Carta costituzionale al fine di riportare il contratto entro i limiti dell’alea normale.

Il dovere di solidarietà e l’obbligo di rinegoziazione

Il dovere di solidarietà conduce in questi casi, secondo la tesi del Tribunali di Lecce, a un vero e proprio obbligo delle parti di addivenire a nuove trattative al fine di riportare l’equilibrio negoziale entro l’alea normale del contratto.

LA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI LECCE

Il Tribunale ha ritenuto che, a un esame sommario, il canone di buona fede in senso oggettivo non fosse stato violato dal proprietario degli immobili relativamente al primo lockdown dal momento che era effettivamente stata concessa una riduzione del canone 2020.

Riduzione del canone disposta in via d’urgenza per il 2021

Tale riduzione non era invece stata concessa per il 2021.

Il Tribunale dunque, ravvisando una analoga necessità di riequilibrio delle obbligazioni contrattuali anche per la nuova annualità, ha disposto in via d’urgenza una riduzione del canone di locazione del 20% per il primo contratto e del 5% per il secondo relativamente al semestre marzo-agosto 2021.

Sussistenza del periculum in mora a base dell’intervento d’urgenza

Il ricorso d’urgenza, secondo il giudice leccese, era fondato anche sotto il profilo del periculum in mora, posto che il pagamento dei canoni in misura integrale sarebbe stato idoneo ad aggravare considerevolmente la situazione di crisi finanziaria della ricorrente.

CONCLUSIONI

La decisione del Tribunale di Lecce conferma, addirittura in via cautelare, la tendenza delle corti di merito – si vedano sul punto altre decisioni commentate in altri articoli pubblicati sul nostro blog – di ricercare, servendosi del principio generale della buona fede  o di quello costituzionale della solidarietà – uno strumento di tutela “flessibile” in favore dei conduttori di immobili commerciali e degli affittuari di azienda che, a causa della contrazione economica e dei provvedimenti di lockdown, hanno registrato pesantissime perdite di fatturato.

Solo il tempo dirà se le argomentazioni addotte reggeranno a eventuali richieste di riforma delle pronunce fino a qui pronunciate.

Avv. Elena Pagliaretta

 

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